Il 1° Assioma della Comunicazione attraverso i film: che significa che “Non si può non comunicare”?




Se scegli un percorso di studi infarcito di comunicazione e linguistica, va a finire che prima o poi ti ritrovi ad avere a che fare con i tipi della Scuola di Palo Alto e con i loro 5 Assiomi della Comunicazione. E li studi, di solito imparando la pappardella o, volendo applicare una visione più matura, interiorizzando verità lampanti e definite in modo magistrale. Il passo successivo, però, non lo fa quasi nessuno. Il passo successivo consiste nel provare a domandarsi: “Che significa tutto ciò all’atto pratico? Il Primo Assioma della Comunicazione recita che “Non si può non comunicare”. Comprensibile, intuibile, in teoria. Ma, esattamente, che vuol dire che, durante la percorrenza della nostra vita di tutti i giorni, è impossibile per ognuno di noi non generare atti comunicativi? Volendo avventurarci in una lettura più simbolica, potremmo dire che non poter non comunicare è un po’ come dire che non possiamo non esistere, non possiamo sottrarci alla rete di relazioni e interscambi che la società ci impone. Non possiamo non essere parte di un sistema partecipato di produzione e ricezione di messaggi, siano essi parole, ma anche gesti, espressioni, sguardi, mimiche facciali.

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Palo Alto, gli Assiomi e il cinema

Proviamo a rendere le cose più divertenti: il gioco è provare a valutare le implicazioni insite nell’asserzione “Non si può non comunicare” nella vita di tutti i giorni. E per farlo, serve qualcosa di pratico, di facilmente fruibile, magari che sia anche stimolante. Qualcosa come il cinema, i film, i dialoghi del grande schermo. Proviamoci e vediamo cosa ne viene fuori. Il focus è tutto sul primo Assioma della Comunicazione, gli altri quattro assiomi saranno trattati tutti separatamente, come sto facendo con il primo.

Non parlare non basta per non comunicare


Pulp Fiction – Quentin Tarantino (1994)

Uma Thurman – Mia Wallace e John Travolta – Vincent Vega escono per una cena insieme in una delle scene più citate di Pulp Fiction, il secondo film della carriera da regista di Quentin Tarantino. Il marito di Mia è capo di Vince nonché boss di primissimo piano della mala di Los Angeles. Intorno al tavolo del ristorante, fra i due, c’è imbarazzo, cala il silenzio. Il silenzio comunica fortissimo; in questo caso, comunica disagio, il silenzio come significante di un atto comunicativo spontaneo e involontario. Di certo, per non comunicare non basta stare zitti, parla il corpo e parla la dinamica relazionale stessa.

Immaginiamocelo. Proviamo a immaginare di voler essere individui capaci di interagire fisicamente con lo spazio esterno, ma senza comunicare. Credo che ognuno di noi, per prima cosa, smetterebbe di proferire parola, anche se interpellato, anche se direttamente coinvolto in un interscambio verbale. Allora andiamo dal giornalaio, afferriamo un quotidiano e lo poggiamo davanti alla cassa, soldi in mano, paghiamo il giornale, cenno con lo sguardo al giornalaio e via. Certamente non si può dire di non aver comunicato: abbiamo persino concluso una transazione, senza equivoci, palesando le nostre intenzioni e arrivando a soddisfare un desiderio – l’acquisto del giornale. È evidente che privarci della parola non è sufficiente per non comunicare.

E non basta evitare i gesti


Il buono, il brutto, il cattivo – Sergio Leone (1966)

Il buono, il brutto, il cattivo, il film che completa la Trilogia del Dollaro insieme a Per un pugno di dollari (1964) e Per qualche dollaro in più (1965). Cinque minuti di silenzi e uno di pallottole più uno scambio di battute. Una scena straordinaria scandita dal mutismo dei personaggi. Cinque minuti in cui i protagonisti si raccontano attraverso la mimica, la tensione o la rilassatezza dei muscoli facciali. Non una parola. Ma chi direbbe mai che Clint Eastwood – Il Biondo non si sia sforzato di comunicare?

Seconda fase del nostro esperimento, per cercare di non comunicare eliminiamo anche i gesti. Un tizio ci chiede un’informazione e noi zitti, tiriamo dritto. Un altro ci fa cenno di stare attenti alla pozzanghera e noi, sguardo fisso, precisi dentro la pozzanghera. Dimostriamo di non recepire il tentativo di connessione che viene dall’esterno. Siamo riusciti a non comunicare, dunque? No, certo che no. Che significa, esattamente comunicare? Significa far sapere, mettere a conoscenza, rendere partecipi. Il che non implica necessariamente un atto intenzionale né chiarisce che la comunicazione è tale solo se il sistema di codifica e quello di decodifica corrispondono. Il tizio che ci ha chiesto un’informazione avrà in ogni caso ricevuto una risposta da noi, sebbene il significato che le verrà attribuito dipenderà dalla sua interpretazione; verosimilmente, il tizio penserà di avere avuto a che fare con un non udente o magari con un tipo particolarmente distratto o, ancora, con uno stronzo. E il buon samaritano che ci ha messo in guardia dalla pozzanghera si farà l’idea di avere davanti un cretino, uno con la testa tra le nuvole. Ad ogni modo, la nostra indifferenza ha generato dinamiche relazionali, se pure inespresse attraverso l’interazione diretta.

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La non risposta è una risposta


Se mi lasci ti cancello – Michel Gondry (2004)

L’Italia intera non si scuserà mai abbastanza per aver tradotto il titolo di un film delicatissimo e martellante come Eternal Sunshine of the Spotless Mind in Se mi lasci ti cancello, collocando una pellicola drammatica e introspettiva in un immaginario da B-Movie per semianalfabeti. Ma questa è un’altra storia. I silenzi comunicano e anche i nostri tentativi di non comunicare lo fanno. kate Winslet – Clementine è costretta a trovare da sé le risposte che il suo uomo Jim Carrey – Joel non è in grado di fornire. E se lui non dice mai niente, alla povera Clemetine non resta che cercare da sé le risposte che vorrebbe, decifrare in autonomia i segnali di una comunicazione monca: “Tu non ti fidi di me”.

Persino l’assenza è una forma di comunicazione, una delle più efficaci, talvolta. Non rispondere a un messaggio su WhatsApp, ignorare una chiamata, mantenere la porta chiusa davanti al muso di chi implora che venga aperta sono tutti atti comunicativi persino brutali nella loro capacità di esprimere un’intenzione e, con essa, un sentimento o una condizione emotiva. L’assenza comunica disinteresse, rabbia, rancore, paura e tantissime altre emozioni, a seconda del contesto e della dinamica in atto.

I meccanismi di autodifesa


Fight Club – David Fincher (1999)

Fight Club è un film, ma ancor prima un libro, in cui il tema della comunicazione scorre come filo rosso dell’intera trama, dei disagi, di ogni leva motivazionale che spinge ad agire il protagonista. Edward Norton – protagonista senza nome è affetto da insonnia e incapace di sentirsi in pace con se stesso. L’unico modo che ha di ritrovare il sonno è partecipare a incontri dedicati a gente in fin di vita, che affronta malattie senza cura, ma che è costretta a gestire, in un modo o in un altro, il ticchettio chiassoso del tempo che si esaurisce. In quegli incontri lui riesce a stare bene, pur senza mai dire una parola. Nella sofferenza degli altri, nelle comunicazioni sincere e crude di chi racconta i propri dolori, trova un senso ai propri. Egli, però, è anche una persona come tante, un impiegato in un’agenzia assicurativa, ben retribuito, un tipico Yuppie che esprime se stesso attraverso il vocabolario personale dell’uomo moderno: il consumo. E in esso si smarrisce, per ritrovarsi grazie a Brad Pitt – Tyler Durden, conosciuto per caso a bordo di un aereo.

Lo stesso Paul Watzlawick, nel suo La pragmatica della Comunicazione, ci riporta un esempio di vita comune: due tipi sono seduti fianco a fianco in aereo. Uno dei due sembra avere tutte le intenzioni di chiacchierare con il vicino di poltrona, l’altro ha esattamente l’idea opposta. Ora, il signore che non ha alcuna voglia di parlare può adottare diversi comportamenti per arginare la smania del chiacchierone. Egli può:

  1. Accettare la comunicazione: assecondare il desiderio di dialogo del vicino di posto;
  2. Rifiutare la comunicazione: ammettere apertamente di non avere alcuna voglia di parlare. In questo caso, oltre ad armarsi di faccia tosta, dovrà accettare una forma di disapprovazione sociale per un comportamento ritenuto da tutti sconveniente, ineducato, inopportuno;
  3. Squalificare la comunicazione: accettare il confronto, ma adottando un atteggiamento volto a limitare la qualità della discussione stessa. Egli, ad esempio, può dimostrarsi disattento, contraddirsi, cambiare argomento senza alcuna logica apparente, cercando di invalidare la discussione;
  4. Usare un sintomo per evitare la comunicazione: il sintomo è un modo per sottrarsi dai doveri di una comunicazione civile senza passare per la disapprovazione sociale. Egli può fingere di dormire o di sentirsi poco bene.

I sistemi due e quattro ci permettono di liberarci dello scocciatore, certo, ma non di evitare di comunicare.

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Non si può non comunicare…


Scuola di ladri – Neri Parenti (1986)

E che chezzo, sempre a me mi dai le botte?” Scuola di ladri è un cult della commedia italiana, un film con poche pretese artistiche, certo, ma con una ritmica comica assolutamente apprezzabile. Lino Banfi – Amalio Siraghi, insieme ai suoi compari di rapine Massimo Boldi – Egisto Siraghi e Paolo Villaggio Dalmazio Siraghi, viene colto in flagrante durante un tentativo di furto in un grande magazzino. I tre, per farla franca, devono nascondersi, così decidono di travestirsi da manichini per confondere i gendarmi. Banfi, però, colpito ripetutamente con una mazza da baseball da uno dei carabinieri, si lascia sfuggire una lacrima, che rivela la sua fattezza umana.

Siamo bio-chimicamente impossibilitati a non comunicare. Lo facciamo persino attraverso le reazioni spontanee del nostro corpo, siano esse concretizzate nel pianto quanto stiamo male, nel rossore in viso quando siamo arrabbiati, nei tic quando siamo in imbarazzo, nella brillantezza dell’iride quando siamo felici. Comunichiamo senza via di scampo, perché abili a interpretare i segnali dell’altro come gli altri fanno con noi, siano essi del tutto involontari o persino contrari alle nostre intenzioni comunicative. Non esiste alcun modo per non trasmettere nessuna informazione all’esterno: non si può non comunicare.