semantica del silenzio
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La semantica del silenzio: cosa diciamo quando non diciamo nulla

Se la buttiamo sul tecnico, potremmo dire che ciò che noi esprimiamo non dipende soltanto da ciò che diciamo con le parole. Ogni atto comunicativo, afferma il secondo assioma della comunicazione, ha un aspetto di contenuto e uno di relazione. Ovverosia, il significato di ciò che esprimiamo dipende sia da ciò che concretamente viene detto e sia dalle modalità, dal contesto, dalla gestualità che accompagnano il discorso. Riprendendo il primo assioma invece, ci viene molto facile ricordare che è impossibile non comunicare. Cioè, non possiamo evitare di trasmettere informazioni alle persone con cui interagiamo.

Questa doppia premessa mi è utile a introdurre l’argomento di questo articolo: il silenzio. Il silenzio inteso come atto comunicativo. Perché, se è vero che non possiamo non comunicare e se è vero che il significato di un messaggio dipende in grossa parte dal contesto in cui viene inviato e dal linguaggio non verbale che lo accompagna, appare evidente come il silenzio sia un tema di enorme interesse in ambito comunicativo, ma anche un significante a cui non è possibile attribuire un senso univoco.

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Parliamo solo del silenzio

Se iniziassi a parlare delle mille possibilità semantiche del silenzio non ne uscirei più. Il silenzio accompagnato a un certo tipo di sguardo, a un determinato gesto, a un’espressione facciale, eccetera, eccetera. Quindi mi concentrerò solo sull’idea di silenzio, il non-linguaggio di chi resta muto, ma esprime molteplici significati e apre in modo dirompente una finestra sulla propria sfera emozionale. Questo sarà un brevissimo dizionario del silenzio, inevitabilmente manchevole e alimentato dalla consapevolezza che descrivere tutti i possibili significati che una non risposta comunica è pressoché impossibile.

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Il silenzio per dare indifferenza

L’indifferenza è un atteggiamento che può avere effetti devastanti su chi lo subisce, perché si presta a interpretazioni innumerevoli e a nessuna, non si lascia spiegare, nutre il dubbio e alimenta il senso di inadeguatezza del destinatario. Si tratta, a mio modo di vedere, della forma più compiuta e violenta di silenzio. L’assoluta non risposta a un messaggio, la mancanza di riferimenti per l’interlocutore che cerca un cenno si traducono in un quadro bianco che non permette di dare un’interpretazione sensata al comportamento dell’altro. L’indifferenza può essere figlia della disistima, della rabbia, del desiderio di ripicca o più banalmente della mancanza di interesse. In ogni caso, niente che ognuno di noi potrebbe mai augurare a se stesso. Nel concreto, è quasi impossibile armarsi di indifferenza durante un interscambio fisico, in cui ciò dovrebbe tradursi nel fingere che l’altra persona non sia davanti a noi. Più facile esprimere indifferenza attraverso l’assenza: ad esempio non rispondendo ai messaggi sul proprio smartphone, ignorando le chiamate, eclissandosi.

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Il silenzio come confessione

Mi hai tradito?” “Hai studiato o non hai studiato?” “Mi ami ancora?” “Secondo te ho sbagliato?” Immaginate che ognuna di queste domande riceva, come risposta, il silenzio della persona interpellata. Sono solo alcuni esempi di come il silenzio può diventare una risposta inequivocabile, un’ammissione di colpa o un’accusa non proferita in cui la vergogna inibisce la parola e lascia parlare il vuoto. Il silenzio come confessione, spessissimo, è terribilmente duro da accettare per chi lo riceve, perché non esplode, non si palesa, ma si condensa gradualmente fino a rendersi manifesto e complicatissimo da metabolizzare.

Il silenzio di rabbia

Ho già parlato tempo fa della comunicazione rabbiosa, ma in quel caso non avevo menzionato il silenzio. Il silenzio di rabbia è in un certo modo simile a quello di indifferenza, con la differenza che questo è molto più esplicito e, quindi, anche più semplice da interpretare. Il mutismo di chi è troppo deluso per parlare, in molti casi, è una forma di autodifesa, in altri una reazione tendenzialmente vendicatrice, più raramente un atteggiamento razionale proprio di un’indole coscienziosa e capace di comprendere che è meglio non abbandonarsi ad alcuna affermazione finché l’ira alberga nel profondo di sé.

Il silenzio del dubbio

Il silenzio dubbioso si configura lungo una vasta gamma di atti performativi che vanno dal comico fino al drammatico. Buffamente, può essere il silenzio di chi non è in grado di scegliere i gusti del cono gelato, ma anche quello di un partner che non sa come rispondere a una domanda specifica della propria metà come ad esempio “Credi ancora nella nostra relazione?“. Spesso, non è il silenzio di chi non sa mettere a fuoco i propri pensieri, ma più che altro quello di chi sa che dalla risposta che fornirà potrebbero derivare conseguenze estremamente rilevanti, per se stesso e per la controparte. Il silenzio dubbioso è estremamente scomodo per entrambi i protagonisti di un dialogo, se pure in modi completamente differenti.

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Il silenzio perfetto

Il silenzio perfetto. Ci sono momenti che vorremmo congelare nella loro quintessenza, che non hanno alcun bisogno dell’apporto stucchevole della parola. Momenti che richiedono di essere scanditi attraverso un’immersione totale, respirando i respiri dell’ambiente, abbracciando i colori con lo sguardo, indagando le vibrazioni dei suoni e dei rumori. In quei momenti, il silenzio è il modo che scopriamo per essere presenti a noi stessi, al qui e ora, e lasciare che la perfezione ci entri dentro.

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