Italia fuori dal Mondiale: il nonsenso, il caso, la sfiga

«Chi disse: “Preferisco avere fortuna che talento” percepì l’essenza della vita. La gente ha paura di ammettere quanto conti la fortuna nella vita. Terrorizza pensare che sia così fuori controllo. A volte in una partita la palla colpisce il nastro e per un attimo può andare oltre o tornare indietro. Con un po’ di fortuna va oltre e allora si vince. Oppure no e allora si perde.»
Scena iniziale del film Match Point

Chi disse: “Preferisco avere fortuna che talento” percepì l’essenza della vita. La gente ha paura di ammettere quanto conti la fortuna nella vita. Terrorizza pensare che sia così fuori controllo. A volte in una partita la palla colpisce il nastro e per un attimo può andare oltre o tornare indietro. Con un po’ di fortuna va oltre e allora si vince. Oppure no e allora si perde.

Scena iniziale del film Match Point

Italia: seconda eliminazione consecutiva dalla fase finale di un Mondiale di calcio

Nel 2017, dopo il KO con la Svezia, l’interpretazione fu univoca e semplicissima. Oggi, a pochi mesi da un Europeo vinto, decisamente no.

Riavvolgiamo il nastro dei ricordi di qualche anno. Per l’esattezza, di 4 anni e mezzo circa:

13 novembre 2017, Milano, Stadio San Siro: Italia – Svezia 0-0, che sommato allo 0-1 di tre giorni prima a Stoccolma significa una cosa sola, spietata: dopo quasi 60 anni (dal 1958), la nazionale italiana di calcio è esclusa dalla fase finale di un Mondiale. Ve lo ricordate tutti, no?

Italia – Svezia 0-0

Contestualizziamo: nel 2017 il movimento calcistico italiano affrontava un periodo di netta regressione sotto tutti i punti di vista. Restando concentrati sulla nazionale maggiore: dopo il 2006, anno del trionfo mondiale di Berlino, l’Italia era stata eliminata nella fase a gironi dei Mondiali sia in Sudafrica nel 2010 e sia in Brasile nel 2014. Nel mezzo, un paio di buoni Europei, con selezioni mediocri, ma intrepide, capaci di andare ben oltre le aspettative del popolo.

Torniamo al fallimento di quella notte del novembre 2017 a San Siro: la rivolta in panchina di De Rossi che si rifiuta di entrare in campo, le lacrime di Buffon a fine partita, i silenzi di Gian Piero Ventura, il dramma nazionale. Allora fu facile, giusto e inevitabile trarre una conclusione evidente quanto un dinosauro nel deserto: il movimento calcistico italiano aveva toccato il fondo, era il momento di rifondare. Distruggere, per ripartire da zero. O quasi.

il movimento calcistico italiano aveva toccato il fondo

Ed eccoci ora. Da uno spareggio all’altro, da un’eliminazione a un’altra, dal 13 novembre 2017 al 24 marzo 2022. Nel mezzo, un avvicendamento in panchina e ai vertici della FIGC, un nuovo progetto tecnico. E la vittoria di un Europeo. No, questo non è un dettaglio, ma il tassello capace di mandare in tilt qualunque ragionamento lineare e qualunque tentativo di trovare risposte semplici alla complessità. Una storia vecchia come quella dell’uomo.

la vittoria di un Europeo
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Di chi è la colpa?

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Ah quanto piace alla gente cercare sempre, in ogni situazione, davanti a ogni delusione, un colpevole. E chi è, stavolta, il capretto da scannare sull’altare della rabbia? Dunque, vediamo… Beh, non c’è dubbio, si parte sempre dall’allenatore: mandare via Mancini appare la scelta più ovvia, giusto? I risultati, d’altronde, mostrano in maniera fin troppo evidente il suo fallimento. Sì, ma dalla vittoria degli Europei in casa degli inglesi sono passati appena pochi mesi, un battito di ciglia. Come possono convivere nella medesima logica e dimensione spazio-temporale due verità così contraddittorie e che si escludono a vicenda? Come può Roberto Mancini essere l’eroe della renaissance del movimento calcio italiano e, al contempo, l’idiota che ci ha costretti ad (almeno) 12 anni senza Mondiali?

mandare via Mancini
renaissance

Perché chi vince un Europeo è giustamente un eroe, e chi fallisce l’ingresso a un Mondiale è giustamente un babbeo. E nella storia, di eroi babbei non si hanno molte tracce, se non in personaggi amati per il loro essere grotteschi, illogici persino.

Perché chi vince un Europeo è giustamente un eroe, e chi fallisce l’ingresso a un Mondiale è giustamente un babbeo

E lo stesso vale per i calciatori: divini a luglio del 2021, brocchi per tutte le partite che sono seguite all’impresa di Londra, dal doppio confronto con la Svizzera nella fase di qualificazione passando per l’inciampo in Nations League. Donnarumma, Barella, Immobile, Berardi: i nostri eroi di Wembley, le nostre vergogne di Palermo.

Quindi via tutti? Largo ai giovani e a nuove idee? Sì, sì, tutto comprensibile all’interno della logica di un’onda emotiva capace di spazzare, distruggere, polverizzare, creando spazio al nuovo.

Però prima dobbiamo trovare qualche risposta, no? Ad esempio: la vittoria di luglio è stata un dolce incidente? Dove sta il bluff: nel trionfo di Wembley o nella disfatta di Palermo? Siamo delle pippe fortunate o dei campioni sfigati? Ok ripartire, va bene dimenticare e andare avanti, ma partendo da dove? Il successo della scorsa estate va ora accantonato per favorire un bagno di umiltà o tenuto a mente come prova di valore e iniezione di autostima?

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Quali sono le colpe?

Un momento, un momento, un momento. Ho parlato di colpevoli, ma a me risulta che non possa esistere un colpevole senza una colpa. E allora chiediamoci prima: quali sono le colpe? Qual è il reato? E chi lo ha commesso?

quali sono le colpe?

E ripartiamo sempre dallo stesso punto. Le colpe di Mancini: perché l’allenatore c’entra sempre. In che modo? Quali sono stati i suoi limiti tecnico-tattici, i suoi demeriti temperamentali, le sue barriere comunicative?

E i calciatori: sono scarsi? Sono appagati? Sono demotivati? O semplicemente sono inadeguati a vestire e a onorare la maglia Azzurra?

Il tutto a voler semplificare il campo d’indagine, perché altrimenti dovremmo considerare anche le istituzioni sportive e non, i dirigenti, i funzionari, i selezionatori nei settori giovanili, la cultura del tifoso medio, i giornali e i mass media, le politiche di crescita dei vivai dei club. Insomma, oggi, con la delusione ancora calda e cocentissima, non si salverebbe davvero nessuno. Come se ne esce? Nell’unico modo possibile, ovvero analizzando e rifiutando gli slogan nichilistici che, chiunque, in queste ore, sta lasciando strabordare dalla mente alla bocca e da lì sulla tastiera di un PC o dello smartphone. E questo vale per Marione, meccanico di Foligno, come per i massimi esperti di calcio della scena nostrana.

analizzando e rifiutando gli slogan nichilistici

Dannata, dannata complessità!

Quindi se ne esce con l’analisi, dicevo. Ma non parlo di un’analisi tattica, di una valutazione tecnica o persino di una riconfigurazione filosofica del calcio italiano. Intendo, semplicemente (?), un’analisi logica del contesto e delle dinamiche.

analisi logica del contesto e delle dinamiche

La domanda da porci ora credo che sia: Qual è oggi il vero valore dell’attuale nazionale italiana di calcio?

Gli Europei di Luglio 2021 (2021, non 1921) dicono che no, non siamo affatto inadeguati, perché le squadre inadeguate non vincono un titolo continentale.

L’eliminazione da Qatar 2022 dice che sì, siamo inadeguati, perché solo le squadre inadeguate vengono spazzate via in casa dalla Macedonia del Nord.

Ecco il sublime cortocircuito: due eventi che rivelano verità contraddittorie sulla medesima entità.

Ecco il sublime cortocircuito: due eventi che rivelano verità contraddittorie sulla medesima entità.

Questo significa che non se ne esce, se non accettando un’altra verità, l’unica possibile stavolta: la fortuna gioca un ruolo determinante. Il caso indirizza le convinzioni, divelle o cristallizza percezioni che sono e saranno sempre sospese tra la conferma e la smentita, a seconda di ciò riveleranno i fatti.

la fortuna gioca un ruolo determinante

Se Jorginho non avesse fallito entrambi i calci di rigore assegnati a nostro favore nelle due gare contro la Svizzera.

Se Berardi avesse segnato l’1 a 0 a porta vuota contro la Macedonia nel primo tempo.

Se Donnarumma avesse intercettato il siluro di Trajkovski.

E se Donnarumma non avesse parato il rigore di Sancho e di Saka contro l’Inghilterra in finale.

E se in quella stessa partita Berardi avesse sbagliato il suo.

E se Jorginho lo avesse fallito contro la Spagna in semifinale.

E se, e se, e se…

«Chi disse: “Preferisco avere fortuna che talento” percepì l’essenza della vita. La gente ha paura di ammettere quanto conti la fortuna nella vita. Terrorizza pensare che sia così fuori controllo. A volte in una partita la palla colpisce il nastro e per un attimo può andare oltre o tornare indietro. Con un po’ di fortuna va oltre e allora si vince. Oppure no e allora si perde.»

Chi disse: “Preferisco avere fortuna che talento” percepì l’essenza della vita. La gente ha paura di ammettere quanto conti la fortuna nella vita. Terrorizza pensare che sia così fuori controllo. A volte in una partita la palla colpisce il nastro e per un attimo può andare oltre o tornare indietro. Con un po’ di fortuna va oltre e allora si vince. Oppure no e allora si perde.